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Verso una moda sostenibile: il caso Stella McCartney

Aggiornamento: 26 mar

Rubrica: Attivismo artistico


Il termine sostenibilità fa riferimento all’opportunità di conservare o prolungare un determinato stato di fattori in modo desiderabile; dunque, un comportamento è sostenibile se possiede la capacità di far perdurare una data situazione, è  al contrario  insostenibile se privo di tale competenza e rischia anzi di interromperla. 

Il sostantivo ha iniziato ad affermarsi nel vocabolario comune quando, nei primi anni Settanta dello scorso secolo, ha portato alla riflessione sui limiti dello sviluppo economico per evitare che rovinasse, fino al distruggimento, il pianeta terra

L’ embrionale nozione di sviluppo sostenibile come: “sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” si è espansa fino a toccarne anche gli aspetti economici e sociali, raggiungendo la sua definizione ultima: “è sostenibile quello sviluppo che non solo diminuisce il peso sull’ecosistema, ma che si preoccupa anche della tutela dei diritti umani, di modelli accettabili di produzione e di consumo, della salvaguardia della salute e della facilitazione del trasferimento di tecnologie verso Paesi più poveri” nel 2002.  


La creazione di un programma che tutela la nozione di sostenibilità è risultato indispensabile per provare a garantire un futuro e si è concretizzato nei 17 principi proposti dall’ Agenda 2030. A seguito di questo evento, le industrie si sono ritrovate a dover rispettare necessariamente le imposizioni governative per poter procedere nelle loro attività; anche il settore della moda, quarta maggior industria a livello mondiale, è stato costretto ad un cambiamento radicale e all’adozione di nuovi metodi di produzione, conducendo, così, alla nascita di nuove tipologie di business che promuovono un approccio differente al sistema tradizionale. 

Machine in the Garden-Bea Fremderman and Andrew Laumann 2016
Machine in the Garden-Bea Fremderman and Andrew Laumann 2016

Il primo è lo Slow fashion, un sostantivo coniato da Kate Fletcher nel 2007, a sostegno dell’idea di difendere le pratiche che si propongono come alternativa e antidoto alle produzioni industriali attuali, collocandosi in questo modo sotto il più ampio concetto di moda etica. Diventa un'equazione vincente tra moda e sostenibilità, mettendo in discussione le gerarchie esistenti di designer, produttore e consumatore, sfidando l’idea che la moda si basi unicamente sull'immagine, presentandola, invece, come scelta personale.

Alcuni dei tratti distintivi sono: la riduzione di possibili danni all'ambiente e alla società – attraverso l’eliminazione di sostanze e processi tossici e la minimizzazione del consumo di tempo, energia, risorse naturali e sociali – e la valorizzazione delle risorse locali. Il processo di produzione è reso più trasparente, incoraggiando l’informazione e promuovendo un consumo oltre che consapevole anche ridotto. 


Adut Akech, British Vogue
Adut Akech, British Vogue

L’altro esempio di produzione da adottare è quella dell’Upcycling, concetto associato popolarmente al riciclo o al riuso creativo, in quanto la risorsa di partenza è costituita da scarti o prodotti arrivati a fine vita che sono trasfromati e ributtati in circolo in una nuova veste. Attraverso la riqualificazione, personalizzazione e ricostruzione si dà vita ad un prodotto che acquisisce un valore aggiunto in confronto a quello posseduto in partenza e che minimizza l’impatto ambientale utilizzando delle materie già esistenti. Il concetto di Upcycling affonda le sue radici negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, dove  il riutilizzo e la personalizzazione di capi già posseduti si trasforma in un mezzo di espressione della propria identità;  alcuni designer, tra cui Martin Margiela e Vivienne Westwood, ne diventano pionieri oltre che principali sostenitori. Nel XXI secolo, invece, diventa una scelta non più di stile, ma di etica, diffondendosi dalle passerelle all'abbigliamento quotidiano e risultando, in questo modo, una pratica adottata non solo dal singolo individuo, ma anche dalle aziende del settore. 



Sempre più componenti del fashion system stanno adottando questi metodi di produzione alternativi, cercando di investire nella ricerca e nello sviluppo di materiali innovativi. La pioniera contemporanea della moda etica è sicuramente Stella McCartney.

Classe 1971, laureata nel 1995 alla Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, nel 1997 inizia la carriera come direttrice creativa della maison francese Chloè e successivamente, grazie ad una collaborazione con lo stilista francese Christian Lacroix, debutta con la sua prima sfilata e nasce la sua omonima casa di moda che entra a far parte del gruppo Kering

Al fine di poter perseguire i suoi principi etici, detiene il controllo del 50% delle quote del brand, che presto diventa un esempio di glamour sostenibile

Fin da subito risulta chiaro il messaggio che vuole trasmettere: fare moda senza utilizzare prodotti di origine animale, preferendo ad essi la pelle vegana:

“Il coccodrillo, per me, è cheap. Abbiamo fatto due conti: realizzare qualcosa con materiali innovativi, che non inquinano in nessuna fase della produzione, costa anche il 70 per cento in più rispetto all'utilizzo della pelle. Dunque, a rigor di logica, il lusso vero sono i nuovi materiali, non i vecchi.”

Sperimenta e scopre il Mylo, un tessuto ricavato dal micelio, l’apparato vegetativo dei funghi; ed è proprio con esso che prima,  in collaborazione con Bold Threads, azienda produttrice della materia, crea un prototipo della Falabella e poi lancia la Frayme Mylo, che diventa un vero e proprio stemma della moda sostenibile. 



La continua sperimentazione e volontà di investire in prodotti ecosostenibili porta la designer britannica a realizzare una collezione di occhiali in collaborazione con il brand Telios, specializzato nell’occhialeria di lusso. Gli occhiali, realizzati con bio-lenti con il 39% di olio di ricino, nel processo di produzione emettono il 40% in meno delle emissioni di  CO2. Le montature, a loro volta sono realizzate in una versione ecologica di bio-acetato derivato da fibre di cotone e legno di origine vegetale e un contenuto di carbonio biobased pari al 68%.

Il marchio Stella McCartney si distingue anche per l'utilizzo di cotone organico proveniente da piantagioni dove è negato l’uso di agenti chimici tossici nel rispetto della certificazione OCS (Organic Cotton Standard); cellulosa biocompatibile, proveniente da materiale ligneo ricavato dalle foreste svedesi dove ne è consentito il prelievo, salvaguardando le aree forestali protette e la biodiversità; inoltre, si distingue per non utilizzare viscosa, acetato e legno proveniente da foreste antiche, certificando la loro tracciabilità. 

Ricorre anche, tra i materiali usati, la Fur-free-fur, una “non pelliccia” che si sostituisce a quella degli animali, rappresentando una scelta cruelty-free per abbattere l’impatto ambientale di coloranti, trattamenti chimici e agenti tossici usati normalmente per trattare il pelo vero.



Credo nel riciclo, nel mantenere le cose più belle e produrre collezioni fatte bene e che resistano nel tempo. Siamo liberi di comprare quello che ci dà piacere, non voglio spingere la gente a spendere, voglio soltanto migliorare la loro vita. Ma devono essere loro a scegliermi.” 

Questo suo approccio in difesa dell’ambiente, si rispecchia anche nella sua boutique londinese al numero 23 di Old Bond Street, dove l’arredo interno e le finiture sono realizzate in materiali di recupero. 



Ma la designer non è estranea agli altri pilastri dello sviluppo sostenibile, e si batte nella tutela dei diritti dei lavoratori, affermando di avere una catena di fornitura socialmente controllata, dalle materie prime alla loro lavorazione. A provare ciò, è la presenza del marchio tra i membri dell’ETI (Ethical Trading initiative), insieme di aziende e ONG che promuovono il rispetto dei diritti dei lavoratori. In sostegno dei suoi ideali, ci sono delle importanti campagne di marketing che esprimono chiaramente il messaggio della stilista: “chi acquista un suo capo deve sapere che lo ha acquistato per sempre”. Questa strategia di marketing, motiva il consumatore a diventare da soggetto passivo a protagonista e complice del cambiamento, oltre che sostenitore di un progetto sostenibile, tanto che il team Stella McCartney sul sito del brand dichiara:

“La nostra visione della sostenibilità è guidata dai nostri valori audaci: fare in modo che ogni azione conti, ispirare fiducia e celebrare la vita. Siamo agenti di cambiamento; siamo attivisti.”

Una produzione trasparente, sostenuta da un marketing definito odiernamente ‘verde’ rendono Stella McCartney uno dei brand in assoluto più emblematici, nonché un esempio rappresentativo e reale di moda etica, sottolineando che una produzione sostenibile non è solo possibile, ma è l’unica strada percorribile.


b.b.


1 則留言


Silvia
3月16日

Bellissima lettura e bellissimo tema!

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