RIOT GRRRL: All girls to the front!
- Penelope Contardi
- 28 feb
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 11 mar
Rubrica: Attivismo artistico
Il punk, pur nascendo come movimento di riscatto dei giovani ai margini della società, è stato portatore di meccanismi discriminatori verso gruppi marginalizzati: pensando alle band che vengono esaltate come cardini della cultura punk faticano, infatti, ad emergere nella nostra mente nomi di gruppi non composti da uomini bianchi e il motivo non è di certo che altre realtà non siano esistite. Le donne sono state sistematicamente escluse dall’ambiente rock - considerato testosteronico e lontano dal femminile - sia come artiste, sia in quanto spettatrici. Per le band al femminile non era semplice affermarsi nella prima ondata punk, trovando perlopiù spazi limitati nell’underground; i concerti rock, inoltre, erano di frequente luoghi inospitali per giovani ragazze che venivano spinte nelle ultime file o che rischiavano di riportare botte e nei peggiori dei casi qualche osso rotto. A dimostrazione di questa discriminazione, nel 1976 il punkzine di Londra Sniffing Glue pubblicò un articolo che recitava: “Punks are not girls”.
All’inizio degli anni ‘90 la scena musicale era dominata dal grunge che stava portando il rock nella scena mainstream principalmente grazie al successo di Smells like teen spirit (titolo tratto dall'ironico graffito di Kathleen Hanna ‘Kurt smells like teen spirits’). Nello stesso momento il femminismo stava subendo una battuta d’arresto: terminate le battaglie della seconda ondata che aveva caratterizzato gli anni ‘80, l’opinione pubblica riteneva finita la necessità della lotta femminista. Proprio in quel contesto un gruppo di ragazze di Olympia, Washington pensò che forse era vero: non era più necessaria la lotta, serviva una vera e propria rivolta, che cambiasse le sorti del punk, della musica e del femminismo per sempre.
All’interno dell’ambiente accademico statunitense delle giovani amiche iniziarono a confrontarsi riguardo l’esperienza femminile, discutendo di temi legati al loro vissuto che solitamente non veniva ascoltato o preso seriamente in considerazione: da qui nacquero in primo luogo gruppi di discussione e in seguito dei meravigliosi fanzines. Già adottati dal punk anni ‘70 per propagare la cultura e contrapporsi in modo indipendente alle logiche di mercato, i fanzines delle ragazze di Olympia presero nuove sembianze trattando argomenti quali violenza di genere, abusi e discriminazioni diventando veicolo di espressione artistica e insieme spazio sicuro di confronto con altre donne.
Tobi Vail (batteria) iniziò a utilizzare Jigsaw, un fanzine di sua produzione, per combattere il sessismo che dilagava nella scena punk: “I feel completely left out of the realm of everything that is so important to me. And I know this is partly because punk is for and by boys.” Il suo sentimento venne condiviso da Kathleen Hanna (voce) che ebbe l’idea di fondare una band che cantasse la frustrazione e la rabbia del femminile: così, nonostante le loro scarse capacità musicali iniziali, fondarono le Bikini Kill nell’ottobre del ‘90.
Nel Febbraio del ‘91 Erin Smith (chitarra) si unì a Allison Wolfe (voce) e Molly Neuman (batteria) fondando le Bratmobile: anch’esse iniziarono la loro produzione artistica con dei zines femministi, seguiti dalla lettura delle loro parole su una poco raffinata base musicale, dovuta al tempo alla loro incapacità di suonare. Quando Allison Wolfe chiese al suo amico Robert Christie un consiglio su come scrivere vere e proprie canzoni, lui rispose di ascoltare i Ramones e imitare la loro musica. Subito la cantante capì che ciò che doveva fare era proprio l’opposto: “From that day forward, I vowed to never listen to the Ramones. I wanted us to sound different. But it’s just funny because at that time it’s not like we even had the ability to sound like the Ramones.” così che le Bratmobile trovarono per tentativi il loro unico stile diventando, con le Bikini Kill, la band propulsiva del movimento Riot grrrl.
Il nome scelto deriva da una lettera che Jen Smith mandò a Allison Wolfe in cui esprimeva la necessità di una ‘girl riot’ ispirata alle rivendicazioni delle persone nere che in quegli anni stavano lottando in modo unito per rivendicare i loro diritti; la scelta della tripla ‘r’ rimanda giocosamente al suono di un ruggito.

Le Bikini Kill pubblicarono il manifesto delle Riot grrrl ispirando centinaia di ragazze ad unirsi al movimento e portando definitivamente i temi del femminismo di terza ondata fuori dai contesti accademici. I 13 punti, che iniziano tutti con un maiuscolo ‘BECAUSE’, spiegano le cause e gli obiettivi del movimento, tra cui: “BECAUSE we wanna make it easier for girls to see/hear each other’s work.”; “BECAUSE we don’t wanna assimilate to someone else’s (boy) standards of what is or isn’t”; “BECAUSE we hate capitalism in all its forms and see our main goal as sharing information and staying alive”.
L’inno del movimento divenne Rebel Girl delle Bikini Kill: brano sulla collaborazione e l’amicizia tra donne, sulla rivoluzione e sulla riaffermazione del sé in un mondo al maschile: “When she talks, I hear the revolution”.
Il loro obiettivo non era la fama, ma la rivoluzione e ciò fu dimostrato anche dalla reticenza con cui rilasciarono interviste, sostenendo che l’ambiente giornalistico era finalizzato a cercare scandali e incitare rivalità tra musiciste. L’unico obiettivo era creare uno spazio sicuro per le ragazze che volevano ascoltare e fare musica, trattando nei loro testi argomenti quali i diritti delle persone queer, gli abusi sessuali, la salute mentale, i disturbi alimentari e la violenza domestica. Per la prima volta le ragazze calcavano il palco con un sentimento che prima non era loro concesso: la rabbia.
Sin dagli inizi della loro carriera le Bikini Kill incoraggiavano le ragazze a spingere gli uomini in fondo ai loro show per riprendersi i loro spazi senza farsi limitare nella loro libertà dagli uomini, come spesso accade in molti contesti ancora oggi. La cantante era disposta ad affrontare i ragazzi personalmente se non rispettavano la sua volontà anche scendendo dal palco: “I have a fucking right to be hostile and I’m not gonna sit around and be peace and love with somebody’s fucking boot on my neck”. Il suo grido “All girls to the front! I’m not kidding. All girls to the front! All boys be cool, for once in your life. Go back. Back. Back.” divenne un inno contro la paura e per l'autodeterminazioni femminile.
“If there are more women and girls who feel safe and are present and in front, maybe that whole dynamic will shift too, and that would be great” Molly Neuman
Le Riot grrrl giocavano con l’iperfemminilità utilizzando il loro look di gonne, codini e fiocchetti per veicolare i propri messaggi: l’abbigliamento era un mezzo per riaffermare la propria identità di genere e la loro libertà di espressione in un contesto musicale in cui non era assolutamente la norma sfoggiare capi femminili; ciò poteva creare un contrasto con i testi più espliciti e violenti oppure esaltare la provocazione di quelli più satirici che giocavano sull’infantilizzazione della donna e criticavano le aspettative sui corpi femminili imposti dallo sguardo maschile.
Infine il loro look esprimeva la volontà delle ragazze di rinvigorire la cultura punk DIY (do-it-yourself) come mezzo di indipendenza dall’autorità e di opposizione al consumismo e alle logiche capitaliste della moda.
Le Riot grrrl sono l’ultimo movimento realmente punk spinto da un sentimento rivoluzionario profondo e da una rabbia sociale che rende reali le intenzioni delle performer superando la musica. Non è, però, da ignorare che queste band - composte da donne, e talvolta qualche uomo, cis e bianche - sono state a loro volta portatrici di messaggi discriminatori, in particolare verso le persone transessuali. Kathleen Hanna, icona del movimento, proseguì la sua carriera fondando il gruppo Le Tigre che riscosse un enorme successo e portò avanti il movimento negli anni 2000 continuando a ispirare le riot grrrl band che nascono tutt’oggi condividendo i capisaldi del manifesto. Oltre ad aver aperto un varco per le ragazze che vogliono fare rock, il movimento ha dato anche la possibilità ad artiste più mainstream come Fiona Apple o Alanis Morissette di esprimere la loro rabbia e parlare nella sua totalità dell’esperienza femminile in modo forte e diretto nel corso degli anni ‘90 e ‘00.
p.c.
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