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L’altra metà dell’avanguardia: la rivoluzione di Lea Vergine

Aggiornamento: 4 giorni fa


Rubrica: Donne in mostra


L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche
L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940, foto di Maria Mulas

L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche è una mostra d’arte moderna e contemporanea inaugurata il 16 febbraio 1980 a Palazzo Reale, Milano, curata da Lea Vergine, uno dei nomi più importanti e rivoluzionari della critica d’arte italiana e internazionale. L'esposizione fu realizzata in collaborazione con il designer Enzo Mari, la grafica Grazia Varisco e Achille Castiglioni, architetto che ideò l'allestimento caratterizzato dagli iconici velari in tessuto bianco.


La genesi rocambolesca della mostra viene raccontata in L’arte ritrovata. Alla ricerca dell’altra metà dell’avanguardia pubblicato nel 1982. L’idea dell’esposizione è scaturita da alcune mostre che in Europa stavano iniziando a dare spazio all’operato femminile nell’arte come Women Artists 1550-1950 del 1976. Lea definì questi tentativi dei “censimenti deprimenti”, poiché prendevano in considerazione lassi di tempo eccessivamente ampi svolgendo, così, un’indagine superficiale. 


Vergine si ripropose di inaugurare una mostra di artiste donne, estesa e completa, tenendo in considerazione solo le avanguardie dei primi del Novecento. Così, iniziò il suo lavoro investigativo per rintracciare le orme delle donne insabbiate dalla Storia scritta e tramandata dagli uomini: “Molte di esse ebree, altre omosessuali, altre ancora non estranee al mondo della pazzia per aver attraversato la pazzia del mondo: […] la storiografia ne aveva scolorito i profili, le aveva archiviate come personalità 'interessanti' in quanto legate ai leader dell’epoca secondo la convenzione della musa ispiratrice, dell’alter ego dell’artista maschio”.


Organizzatrici e organizzatori della mostra l'altra metà dell'avanguardia
Organizzatrici e organizzatori della mostra

Non fu una mostra semplice da organizzare per ragioni storiche (era il periodo dell’attività dei terrorismi italiani) e finanziarie, ma soprattutto perché le informazioni sulle artiste erano scarse, incomplete o ancillari a quelle di autori maschili a loro vicini, di norma più famosi e stimati: “c’erano un 50% di persone completamente interrate, sepolte, distrutte, cancellate. Suicidate”.


Lea Vergine si sporcò le mani tra scantinati dimenticati e archivi lacunosi, bussando alle porte dei familiari delle artiste e aggirando le vie che le si sbarravano davanti. Esemplificativa fu la ricerca delle opere di Dora Maar a Parigi: la donna, schiacciata e prosciugata dalla figura di Pablo Picasso, oppose grande resistenza alle insistenze di Vergine che, nel mentre, veniva avvisata dalle ragazze del vicinato di non bussare alla sua porta perché ci avrebbe trovato soltanto una pazza, senza un soldo, ma piena di quadri di Picasso.


Alle perplessità dei tecnici del mestiere che le chiedevano con scetticismo dove si sarebbe tenuta questa mostra, la curatrice rispondeva tranchant che sarebbe stata a Palazzo Reale e avrebbe occupato tutte e 22 le sale disponibili. L'esposizione, infatti, contava ben 114 artiste divise in 11 sezioni riguardanti le diverse correnti d’avanguardia del primo Novecento. C'erano ad esempio: la sezione Futurismo - Cubofuturismo - Suprematismo che ospitava, tra le altre, le opere di Benedetta Cappa; la sezione dadaista con Elsa von Freytag-Loringhoven e Hannah Höch e quella surrealista con nomi della portata di Georgia O’Keeffe, Dora Maar, Frida Kahlo.


Fu proprio Lea Vergine a portare per la prima volta l’attenzione sulle opere di Kahlo in Italia, ancora sconosciuta ai più e anche a molti professionisti del settore, con l’effetto collaterale, lamentato dalla curatrice, che avrebbe portato la figura della pittrice ad essere “inopportunamente adoperata per magliette cartoline e poster dopo che la cantante Madonna aveva acquistato qualche sua opera”.

“Ho iniziato questo lavoro per far giustizia, per togliere le orchidee dall’obitorio, e mi si sono spalancati davanti gli inferi, Euridice senza Orfeo, ho incontrato fantasmi eppure l’amo questo continente abbandonato, questa enorme provincia di indigeni”.
Articolo di Lorenza Trucchi
Articolo di Lorenza Trucchi

La sua intenzione non era quella di contrapporre il lavoro di uomini e donne poiché dichiarava: “a parità di livello qualitativo non riesco  vedere diversità alcuna”. Nonostante tutti riconoscessero il valore della ricerca di Vergine, questa attirò molte critiche per il fatto che non metteva in discussione il punto di vista maschile nell’inquadramento storico delle avanguardie e perché ignorando l’aspetto biografico delle artiste la curatrice evitava le rivendicazioni di genere. Sottolineare il contesto sociale in cui queste artiste avevano operato sarebbe stato importante per evidenziare i maggiori ostacoli affrontati rispetto ai colleghi uomini, benché le opere fossero qualitativamente pari alle loro. Fu, infatti, Anne Marie Sauzeau Boetti che recensendo la mostra di Palazzo Reale su Il Manifesto sottolineò questo aspetto scrivendo: “Oggi più che mai convinta di quelle che, tempo fa, chiamai le “incongruenze” delle carriere artistiche femminili rispetto allo sviluppo lineare (ascendente o discendente che sia) di quelle maschili. Certe carriere di artiste sono segnate da emblematiche interruzioni, amnesia, zone cicatriziali, sbalzi convalescenti – tutto un precario tessuto intorno a singole opere perfettamente ‘sane’.”


Lea Vergine foto di Gianni Viviani
Lea Vergine tra le sale della mostra, foto di Gianni Viviani

Questa riflessione critica si compì nella pubblicazione del 2020 di L’altra metà dell’avanguardia quarant’anni dopo di Angela Maderna in cui vengono ricostruite la genesi e l’eredità della mostra.

Lea Vergine era tutt’altro che inconsapevole delle critiche e della fondatezza delle stesse, credeva, però, che per restituire alla memoria le artiste del passato fosse necessaria una prima mostra in cui l’arte delle donne veniva separata ed esibita - in modo da essere impossibile da ignorare - ma allo stesso tempo trattata come quella maschile per evitare che l’aspetto biografico delle artiste le relegasse nuovamente alla loro condizione uxoria. 


Il problema potrebbe non essere quella prima mostra, ma il fatto che l’eredità di quest’ultima non sia stata compresa e che ancora oggi per dare il giusto spazio alle opere di donne sia necessario scrivervi dei libri appositi od organizzare mostreal femminile’, in quanto nei manuali di storia dell’arte e nelle mostre regolari le donne sono ridotte a rari casi, nonostante sia stato dimostrano che la loro produzione fosse quantitativamente e qualitativamente non inferiore a quella maschile.


Lea Vergine, col suo immenso lavoro di ricerca dalla precisione scientifica e la sua critica militante, ha contribuito in modo indelebile alla concezione delle artiste nel mondo dell’arte riportando alla luce i nomi delle donne soggette alla rimozione storica sistematica che danneggia e ha sempre danneggiato l’economia, la produzione e la storia dell’arte.






p.c.


2 comentarios


Susanna
04 abr

Molto interessante. Brava

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Giovanna
03 abr

La rivoluzione parte da sempre da un piccolo passo! Bellissima analisi!

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