Femminismo intersezionale e letteratura postcoloniale
- Francesca Viapiana
- 11 mar
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 21 mar
Rubrica: Libreria femminista
La scrittrice italo-ghanese Djarah Kan afferma che “Il femminismo è la rifondazione dell’umanità che parte dall’eredità di chi per secoli ha resistito contro la cancellazione del proprio corpo, dei propri diritti e dei suoi stessi desideri. E la cosa bella è che è per tutti.” La definizione di Kan evidenzia come il fatto che il femminismo possa essere esteso a tuttə è in realtà spesso messo in discussione: inizialmente è nato per ottenere il diritto di voto per le donne bianche e borghesi. Infatti, ad esempio, le istanze delle donne nere e povere erano viste come devianti rispetto all'obiettivo ritenuto principale.

Nel 1989 l’attivista e giurista statunitense Kimberlé Crenshaw coniò il termine “intersezionalità”. Si afferma che il razzismo e il patriarcato si rafforzano a vicenda, creando un sistema di oppressione che marginalizza in particolare le donne nere. Usa la metafora di un incrocio stradale, “an intersection”, in cui si incontrano quattro strade con quattro direzioni differenti. Se accade un incidente, questo è causato da macchine che vengono da diverse direzioni, se non da tutte. Allo stesso modo, una donna nera può essere lesa da una discriminazione di genere o di razza. Tuttavia, non è sempre semplice ricostruire un incidente, in quanto possono esserci anche cause simultanee. Crenshaw sostiene che le donne nere sono discriminate in modi che spesso non rientrano nelle categorie legali né del razzismo né del sessismo, ma come una combinazione delle due. Come conseguenza, sostiene che le donne nere sono di fatto legalmente invisibili.
Djarah Kan dichiara che spesso il corpo femminile nero è stato costruito come oggetto sia di desiderio feticizzato che di disprezzo, ridotto a uno strumento di dominio sessuale e culturale: questo doppio vincolo è evidente nelle rappresentazioni tradizionali della donna nera, sia come ipersessualizzata sia come simbolo dell’alterità culturale.

In tempi recenti, nel panorama letterario italiano alcune scrittrici razzializzate affrontano questi temi dal loro punto di vista e dal loro vissuto. Timira. Romanzo Meticcio del 2012 raccoglie le memorie di vita di Isabella Marincola, donna italo-somala figlia del colonialismo italiano; il testo è di Wu Ming 2, pseudonimo di Giovanni Cattabriga, membro del collettivo Wu Ming, assieme al figlio Antar Mohamed Marincola. Isabella racconta che nell’immediato dopoguerra diventa soggetto di artisti e fotografi ed inizia a piccoli passi ad essere un volto relativamente noto nella cerchia di artisti da cui si reca per posare. È un corpo interessante che attrae l’occhio italiano. Per lei diviene prassi posare nuda e usare il proprio corpo, comprendendo l’effetto e il potere fascinatorio che aveva sugli italiani bianchi. L’episodio narrato dell’incontro con Indro Montanelli è esemplare della sua consapevolezza del modo in cui veniva percepita. Il giornalista, vedendo Isabella, fa battute assimilandola ad una scimmia e lei, con sagacia, afferma che il bene che lui può aver provato per la sua moglie bambina africana è pari a quello che si prova per “un cane da grembo”. Narrando la sua storia e offrendo la sua testimonianza Isabella Marincola rivendica la libertà di parlare di sé e del proprio corpo, oltre a porre la questione di poterlo usare, in quanto suo.
La possibilità di appropriarsi della propria narrazione e di rivendicare il proprio corpo sono temi spesso dibattuti nel femminismo, ma sono anche problematici. Infatti, se è vero che il femminismo intersezionale è aperto a confrontarsi con diverse discriminazioni e ascolta più voci, è anche vero che al termine femminismo va aggiunta una parola per poter includere altre donne che non siano bianche, ricche, abili, eterosessuali e cisgender. Infatti, nel 1982 l’autrice americana Alice Walker conia il termine “Womanist”: l’idea è di affrontare le ingiustizie che non sono state riconosciute dal femminismo mainstream. “Womanist is to feminist as purple [is] to lavender,” è così che viene descritto per intendere che non è una branca del femminismo, ma un movimento a parte che affronta le complessità del sistema oppressivo e l’ampia gamma di esperienze vissute dalle donne razzializzate. Questo movimento si rifà a una prospettiva afrocentrica e si focalizza sul modello di comunità e sui problemi della famiglia, cosa che, come le maggiori critiche al movimento sottolineano, rischia di ricadere in una visione eteronormativa che ignora la comunità LGBTQIA+.

La linea del colore di Igiaba Scego del 2020 è un romanzo che esplora il razzismo e la discriminazione di genere nel passato coloniale e nella contemporaneità. Il romanzo intreccia le vicende di Lafanu Brown, artista nera nativa americana nell’Italia post-unitaria, e di Leila, giovane curatrice d’arte nella Roma contemporanea. Il personaggio di Lafanu Brown è ispirato alle storie vere di due donne afrodiscendenti, la scultrice Edmonia Lewis e l’ostetrica e attivista Sarah Parker Remond. Attraverso i loro occhi, Scego mostra come la donna nera sia stata storicamente esclusa dalla narrazione culturale dominante, ridotta a simbolo dell’esotico o del subordinato, ma mai riconosciuta come soggetto attivo della storia. In particolare, Lafanu Brown, grazie al suo grande talento artistico, viene notata da una ricca donna bianca, Betsebea McKenzie, che diventa la sua mentore e protettrice e le offre grandi possibilità. Al tempo stesso però, il sostegno finanziario e politico alle persone nere, era perseguito da Betsebea McKenzie al solo scopo di “diventare la dama più buona e caritatevole” della città e infatti per lei i suoi protetti erano come “delle scimmiette ammaestrate di sua proprietà”. Da ragazza Lafanu Brown frequenta un collegio, in cui è l’unica studentessa nera, il che le rende l’esperienza difficile e dolorosa. In particolare, le sue compagne di corso bianche, spinte dalla gelosia e dalla rabbia nel vedere una ragazza nera essere al loro pari, invece di stare al proprio posto, convincono dei loro compagni ad aggredirla. Il suo corpo diventa oggetto di atroci sevizie e probabili violenze che la segneranno per tutta la vita. La violenza, come in questo esempio, è spesso rafforzata dall’oppressore nel momento in cui il subalterno non rispetta i suoi limiti e il suo posto: nel momento in cui mette in crisi il sistema gerarchico.

Anche in Timira: Romanzo meticcio è raccontata una forte violenza: quella che Isabella subisce da parte della matrigna italiana. La protagonista, all’oscuro del fatto che la donna non fosse la sua vera madre, subiva quasi giornalmente frustate e soprusi da colei che era in realtà turbata dalla presenza di due bambini: oltre a Isabella c’era suo fratello Giorgio (il quale rappresenterà una figura di rilievo nel movimento della Resistenza partigiana), che con il loro corpo nero mettevano in mostra i tradimenti del marito con una donna somala, conosciuta durante il periodo coloniale. Come già esplorato precedentemente, nella sua vita Isabella subirà molestie da parte di uomini italiani, ma anche da donne: “per schivare le donne, invece, non c’era bisogno di urlare. Erano più raffinate.”
È evidente che se il femminismo dichiara di voler parlare e dare voce a tutte le donne, deve prendere in considerazione anche quelle che subiscono altre discriminazioni e quindi scontrarsi con le conseguenze del razzismo e i modi in cui questo si interseca con il patriarcato. È quindi importante dare sempre più spazio alle storie e alle voci di coloro che devono affrontarle tutti i giorni sulla propria pelle.
f.v.
Per chi è interessato all’argomento consigliamo le seguenti letture:
E. Flaiano, Tempo di uccidere (1947), Milano, Adelphi, 2020
Wu Ming 2, Antar Marincola, Timira. Romanzo meticcio, Torino, Einaudi, 2012
I. Scego, La linea del colore, Milano, Bompiani, 2020
G. Ghermandi, Regina di fiori e di perle, Roma, Donzelli, 2011
C. Lucarelli, L’ottava vibrazione, Torino, Einaudi, 2008
G. Caminito, La grande A, Firenze, Giunti, 2021
A. Del Boca, Italiani, brava gente?, Vicenza, Neri Pozza, 2005
V. Deplano, A. Pes, Quel che resta dell'impero. La cultura coloniale degli Italiani, Milano-Udine, Mimesis, 2015
Interessantissimo! Conoscevo solo la storia di Giorgio Marincola, il fratello...