top of page

Furèsta de La Niña: il ritorno alle radici

Aggiornamento: 8 apr

Rubrica: Attivismo artistico

Misticismo tribale, sensualità terrena e ribellione viscerale sono i temi di Furèsta il nuovo album de La Niña, uscito lo scorso 21 marzo, che sembra ribaltare la narrazione della sua terra campana, e in generale del Sud del mondo, ridando voce a storie e suoni senza mai risultare anacronistico o nostalgico, cosa che lo rende una delle uscite italiane più interessanti degli ultimi anni.


Carola Moccia, classe 1991, napoletana, prima di diventare La Niña, era Cyen e insieme ad Alfredo Maddaluno, suo attuale collaboratore e compagno di vita, formavano il duo elettro pop Yombe e muovevano la loro ricerca attraverso la lingua inglese. Nel 2019 però cambia la musica: i due tornano a Napoli e Moccia inizia un percorso attraverso le proprie radici ancestrali e la materialità della sua terra. Questo ritorno a casa rappresenta per lei una ripartenza, infatti riprende a studiare la musica, gli strumenti della tradizione folcloristica campana, le storie e le leggende così antiche ma così nuove, nella speranza di ridare un’umanità e un’empatia a questo nostro presente da cui siamo sempre più distaccati. Il suo percorso parte dalla voce che non sentiva sua e non le piaceva:

foto di instagram de La Nina

«Fino a quando, nel 2017, non scrivo una poesia con una parte in napoletano, per puro caso. Comincio a cantarla e la mia voce muta. Sento una voce che mi emoziona per la prima volta. Era la lingua che plasmava il senso. Ho cominciato a fare cose difficili, scale complicate: non capivo da dove venivano, melismi, scale arabeggianti. Come riuscissi a fare quelle cose per me rimane, tutt’ora, un mistero.»


Al tempo stesso, il suo ritorno alla città partenopea accade contemporaneamente all’inizio di quei processi che hanno portato in questi ultimi anni al "brand Napoli": un fenomeno che feticizza e limita a prodotto esotico la città e i suoi abitanti. Si assiste così a una glamourizzazione del disagio e della sofferenza che, se da una parte rende gli artisti più consapevoli del proprio valore, dall’altra genera molti personaggi stereotipati che diventano virali sui social come “fenomeni da baraccone”. Moccia però crede che, a causa della crisi attuale del livello culturale, queste persone siano vittime, prive della capacità critica di analizzare la realtà e impossibilitate a capire che il loro successo deriva maggiormente dal lato trash e ridicolo.


«Quindi per me è stato fondamentale inscenare una sorta di funerale, per loro, ma senza palesarlo, perché anche quello sarebbe stato glamour e non volevo che lo fosse. Non volevo far vedere i morti sui motorini, non volevo far vedere il lungomare, non volevo far vedere niente di tutto ciò. Anzi il mio obiettivo era non far vedere la mia città neanche per un istante. Volevo far respirare la cultura attuale con il suono e raccontare la rabbia e i disagi di un Sud del mondo da sempre mortificato e che da sempre ha cantato così.»


foto di instagram de La Nina

Ecco che il suo nuovo album, Furèsta, si apre con il manifesto Guapparìa. Con guapparìa si intende il “complesso delle regole che costituiscono il codice d'onore camorrista o un’azione arrogante e prepotente, una bravata”. Moccia vuole descrivere la contraddizione insita nel rendere cool la povertà e il disagio, in un’Italia in cui ad oggi è ancora fortissimo l’antimeridionalismo. Moccia, come Geolier, denuncia l’ondata di insulti contro i napoletani a seguito della fortissima scossa di terremoto del 13 marzo scorso. Scossa che ha fatto riflettere la cantante sulla precarietà di vivere in luoghi sismici, in cui la potenza della natura ridimensiona la centralità dell’uomo e ne aumenta la creatività. È proprio dalla canzone dedicata al terremoto, Tremm’, che La Niña ha iniziato il percorso generativo dell’album, sperimentando con tamburi che dichiara di aver suonato con i suoi capelli per ottenere la sonorità desiderata.


Le sperimentazioni sonore si spingono anche all’utilizzo di zoccoli di cavalli e di nitriti nella canzone ‘O ballo d’ ‘e ‘mpennate. È interessante notare come nell’album la presenza degli animali sia centrale e costante in quasi tutte le canzoni, a partire dal titolo Furèsta che in napoletano si usa per riferirsi alle gatte indomabili e selvatiche; quello che arriva è una natura incontenibile che non può più stare in silenzio. Questo a partire dalla carne e dal dolore, quello non glamour. La copertina dell’album riprende i dipinti tradizionali che ritraevano delle donne popolane allegre, ma ora il sorriso è svanito e sulla tela, che è in realtà un tamburello, ci sono dei tagli, degli squarci che ne attraversano la pelle, in un modo che richiama quasi il tentativo di Antonin Artaud, teorizzatore del Teatro della crudeltà, di perforare l’epidermide della realtà attraverso dei tagli suoi suoi scritti, sulle sue opere, che divenivano così profondamente materiche e corporee. Al tempo stesso il ritratto sul tamburello, richiama lo Scudo con testa di medusa di Caravaggio: in effetti in Furèsta luci e ombre dialogano nelle profondità della terra e della carne, attraversando l’eterno.

Copertina dell'album Furèsta de La Nina
Il ritratto sul tamburello della copertina dell'album è del Maestro Ciro Morrone, specializzato in ritrattistica e soggetti tipici della tradizione Partenopea.

La Niña non cerca nostalgia, al contrario l’album è incredibilmente contemporaneo perché anche se la ricerca più evidente è etnomusicologica, a partire dalla musica antica napoletana, del ‘400 e ‘500, dalle tammurriate delle campagne campane, delle danze a suon di tamburi, quella che va più a fondo è sulla realtà del presente, attraverso temi attualissimi e suoni elettronici, che si fanno forza con il dolore e le voci del folclore. Il dialetto napoletano inoltre è l’unico modo in cui Moccia poteva immaginare di esprimersi, poiché porta con sé tutti i significati della sua terra e soprattutto tutta la componente sonora, della phoné, che va oltre il significato delle parole. È grazie al legame che instaura con le composizioni anonime della tradizione campana che la sua voce si fa grande ed eterna, dialogando con la forza delle proprie radici, per urlare la verità


Figlia d’ ‘a Tempesta, canzone sulla rabbia femminile e l’incontentabilità della sua riaffermazione, «è nata e canta una storia che conosciamo già ma che non per questo smetteremo mai di raccontare.»

Figlia della tempesta è anche l’origine del suo nome d’arte: La Niña è un abbassamento anomalo delle temperature degli oceani che può portare ad effetti meteorologici intensi, come uragani, con effetti planetari. La Niña supera le distinzioni geografiche e individuali per scuotere l’umanità che ci accomuna. Da varie parti del mondo, soprattutto nel Nord Africa, sta riscuotendo molto successo e molte donne si stanno immedesimando con i suoi temi e le sue sonorità. Furèsta è un disco polifonico, che è sempre sorretto da un coro tragico.


«Volevo levare un po’ di egocentrismo alla figura della Niña. Perché lei è una persona che il tempo consumerà. Quello che mi auguro è che la mia musica le sopravviva. La volevo rendere patrimonio collettivo».

La Niña non vuole essere una pop star, ma vuole essere portatrice di voci collettive, per superare l’individualità del singolo.


“Senz' ammore nun se canta

Senz' ammore nun se sona”


Proprio l’amore di cui canta in Guapparìa è un amore collettivo ed empatico verso il genere umano, che supera il tempo e ogni feticismo dell’apparenza e questo è anche il nostro augurio.





f.v.

2 Comments


Michel
Mar 25

Bellissimo ragazze! Braveee

Like

giampi
Mar 25

Bellissima analisi! Disco super!

Like
bottom of page