Da Mario Giacomelli A Silvia
- Barbara Brutto
- 6 dic 2024
- Tempo di lettura: 3 min
Tipografo, pittore e fotografo, Mario Giacomelli nasce nel 1925 a Senigallia.
Nel 1953, a Natale, acquista la sua prima macchina fotografica, e scatta L’approdo, celebre immagine che ritrae una scarpa trasportata dalle onde sulla battigia.
Da quel giorno Giacomelli capisce che attraverso la fotografia avrebbe dato vita alla sua opera, considerando la macchina fotografica parte del suo corpo, più precisamente un “prolungamento della sua idea”.
La sua opera è viva, in continuo mutamento, ogni serie non è né fine a se stessa né un capitolo chiuso: il discorso creativo di una composizione, espresso attraverso le immagini, viene spesso ripreso e rielaborato attraverso le componenti di quella nuova. I racconti dinamici trovano una costante equilibratrice nella figura umana, che prende forma nelle sue narrazioni attraverso emozioni e sentimenti, vivendo nel costante limbo tra realtà e ricordo. Questo modus operandi si riscontra anche in una serie che il fotografo ha dedicato alla poesia leopardiana A Silvia, creata primariamente nel 1964, successivamente ripresa e stravolta nel 1988. In queste immagini il fotografo adotta un metodo espositivo simbolico, metaforico e visionario, distante dal tentativo primario di narrare in modo didascalico il componimento, concentrando l'attenzione sul mistero.
A Silvia, si compone di una serie di 34 scatti che volgono in immagini il canto A Silvia di Giacomo Leopardi, percorrendo la sceneggiatura di Luigi Crocenzi, andata in onda per la RAI lo stesso anno. Le parole di Leopardi diventano ispirazione per il fotografo che, non solo dà un volto a Silvia, ma riesce a ritrarre nella semplicità delle espressioni del viso della donna fotografata le parole con cui Leopardi si rivolge a essa.
Giacomelli nelle sue dichiarazioni afferma che il suo modo di ritrarre non si concentra su quello che vede, ma su quello che vuole anticipare, sottolineando il legame sottile tra esserci e non esserci, dunque, tra vita e morte. Fotografa, quindi, i soggetti nel momento in cui passano dall’ essere al non essere.
“Silvia, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale,
Quando beltà splendea
Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
E tu, lieta e pensosa, il limitare
Di gioventù salivi? [...]” “[…]Tu, misera, cadesti: e con la mano
La fredda morte ed una tomba ignuda
Mostravi di lontano.”
A Silvia, Giacomo Leopardi, 1831

A Silvia, Mario Giacomelli, 1964 e 1988
Come Giacomelli attraverso la fotografia, mostra il legame di coesistenza tra essere e non essere, analogamente fa Leopardi attraverso l’uso delle parole, nella sua forma espressiva. Leopardi dà vita a Silvia rievocando i momenti spensierati della sua esistenza, facendola vivere nel ricordo e nelle parole, ma in esse si manifesta anche la consapevolezza della morte della giovane. Come la poesia si apre ricordando gli occhi di Silvia, il fulcro della sua vitalità, e si chiude riportando bruscamente l’attenzione sulla verità che la riguarda, la sua morte, così la serie fotografica si apre con un ritratto della giovane e si chiude con un altro ritratto della stessa in cui appare spensierata, ormai lontana dalle preoccupazioni terrene. Tra le due immagini trovano uno spazio narrativo una serie di scatti che mostrano in modo contrastante la dimensione vita-morte.
Silvia sia per Leopardi che per Giacomelli personifica il tramonto delle speranze, delle attese, dei desideri, la vittima sacrificale dell’inganno concepito dalla natura matrigna.

A Silvia, Mario Giacomelli, 1964 e 1988
Amore e morte, giovinezza e speranza, rumore e silenzio, vitalità e calma, movimento e staticità, aspirazione alla felicità e crollo delle illusioni di fronte al duro impatto con la realtà: questi sono i binomi che esprimono al meglio il modo attraverso il quale le parole prendono vita nelle immagini, dando la possibilità allo spettatore di empatizzare con la figura di Silvia e vedendo proiettata in lei la propria persona e il destino della natura umana.
b.b.
Non conoscevo! bellissima analisi